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Diego Gasperotti

È un buon momento per Erdogan?

Aggiornamento: 29 ago 2022

Il Presidente turco è riuscito a capitalizzare l’attuale crisi. Si è posto come intermediario nei rapporti con la Russia di Putin, ha ottenuto una vittoria diplomatica nelle trattative per l’ingresso nella NATO di Finlandia e Svezia, e ha avuto un ruolo cruciale per sbloccare l’export di grano dall’Ucraina. Nel frattempo, però, l’economia turca è in grosse difficoltà. Ad ogni modo, grazie anche alla riforma costituzionale del 2017, Erdogan sembra tenere ben salde le redini della Turchia.

Alla fine di luglio, Russia e Ucraina hanno raggiunto un accordo per sbloccare il grano ucraino fermo nei porti del Mar Nero. Nella prima settimana di agosto è poi partito il primo carico sotto la tutela del patto. Un risultato reso possibile anche dal lavoro diplomatico di Erdogan, che ha incontrato Putin due volte nell’ultimo mese.


A maggio Svezia e Finlandia, a causa dell’aggressione russa all’Ucraina, hanno deciso di candidarsi all’ingresso nella NATO. La Turchia ha però minacciato di opporsi all’allargamento dell’organizzazione (che può avvenire solo se approvato all’unanimità). In questo modo Erdogan ha obbligato Svezia e Finlandia a un accordo, in cambio del suo appoggio alla loro candidatura.


I due Stati europei, tra le altre cose, si sono impegnati a non porre alcun embargo sulla vendita di armamenti ad Ankara, e a estradare in Turchia i membri di alcune organizzazioni indipendentiste curde invise al governo di Erdogan, se sospettate da quest'ultimo di atti di terrorismo. Il Presidente turco ha così ottenuto una piccola vittoria diplomatica, più che utile sul fronte interno visto il disastroso stato dell’economia nel suo Paese.


Infatti, la Turchia non attraversa un buon momento. Le difficoltà hanno iniziato a farsi sempre più dure nel 2021, quando per volere del Presidente la Banca centrale tagliò i tassi d’interesse di 500 punti base, nonostante il parere contrario degli analisti.


Il Presidente turco ha recentemente dichiarato che solamente un “traditore” o un analfabeta può sostenere che i tassi d’interesse influenzino l’inflazione. Eppure, imponendo alla Banca centrale addirittura di abbassarli in un contesto inflazionistico, Erdogan ha causato un’impennata dei prezzi per i consumatori. Quest’anno quindi, a causa della politica monetaria di Ankara, della crisi energetica, della crisi della supply chain e della guerra russa in Ucraina, l’inflazione turca si è avvicinata al record storico dell’80% (per fare un paragone, in Italia a luglio si è attestata al 7,9%).


Anche per ovviare a questo problema, il Presidente turco ha raggiunto un accordo con Putin, che rafforza i rapporti economici tra Russia e Turchia. Quest’ultima pagherà il gas di Mosca a un prezzo scontato rispetto agli Stati europei.


La vicinanza con il Presidente russo preoccupa gli alleati occidentali, ma in questo momento avvantaggia Erdogan. Già l’anno scorso la Turchia non aveva preso in considerazione le rimostranze dei membri NATO (USA su tutti) e aveva acquistato il sistema missilistico difensivo russo S-400. Gli Stati occidentali temevano, fra le altre cose, che ciò potesse consentire alla Russia di infiltrare il sistema difensivo dell’alleanza atlantica (di cui anche la Turchia fa parte).


Da alcuni anni, insomma, Erdogan ha iniziato un progressivo avvicinamento alla Russia di Putin. Dopo gli scontri avuti durante la Guerra civile in Siria, i due hanno mostrato una certa intesa, a dispetto della lunga storia della rivalità russo-turca, specialmente per il controllo del Mar Nero.

Picture by www.kremlin.ru

Grazie al rapporto con Putin, Erdogan ha guadagnato un’utile sponda per smarcarsi ulteriormente dagli alleati occidentali, i quali hanno progressivamente intensificato le critiche al Presidente turco, a causa del suo autoritarismo, del trattamento riservato ai curdi e alla sua vicinanza – giudicata eccessiva – al leader russo.


Erdogan d’altronde ha aumentato la sua stretta sullo Stato turco, allontanando di fatto il Paese dalle democrazie europee. Un processo culminato con la riforma costituzionale del 2017, che ha eliminato la carica di Primo ministro e ha introdotto il sistema presidenziale. Nella nuova conformazione, il Presidente ha maggiori poteri sul Parlamento, sulla Corte costituzionale e sull’organo di auto-governo dei magistrati. Il referendum per l’approvazione della riforma si svolse sotto lo stato di emergenza dichiarato dopo il colpo di Stato fallito l’anno precedente (2016).


Anche per questo motivo, l’OSCE ha espresso alcuni dubbi circa la legittimità della consultazione, paventando possibili brogli elettorali, ed evidenziando l’effetto negativo che le limitazioni alla libertà hanno avuto sulla discussione politica che ha preceduto il referendum.


In seguito alla riforma costituzionale, alle svariate violazioni della libertà di stampa e all’arresto di molte personalità tra gli oppositori di Erdogan, poi, nel 2017 l’organizzazione ha deciso di porre la democrazia del Paese sotto “pieno monitoraggio”.


Tutto questo non significa però che la Turchia deciderà di lasciare la NATO, e abbandonare del tutto i suoi alleati occidentali. All’interno dell’alleanza, anche per la sua collocazione geografica, la Turchia è un membro importante. Anche se i turchi (Erdogan compreso) non hanno una buona opinione degli Stati europei e degli USA, comunque non ritengono vantaggioso terminare l’alleanza militare che li lega a loro.


Anche l’avvicinamento alla Russia di Putin, seppur effettivamente in atto, potrebbe interrompersi bruscamente. I rapporti personali tra Erdogan e il leader russo sono stati notoriamente tesi in passato, al punto che il Presidente turco, profittando delle difficoltà dell’interlocutore, si è recentemente preso una piccola rivincita simbolica su Putin, facendolo attendere più del dovuto prima del loro incontro a Tehran.

Erdogan si sta insomma muovendo con spregiudicatezza nel contesto internazionale, ma nonostante i risultati ottenuti rischia di assottigliare sempre più la fiducia che ripongono in lui i suoi alleati occidentali. Sul fronte interno invece, deve superare le difficoltà economiche che le sue scelte hanno imposto al Paese: l’attivismo diplomatico mostrato nell’ultimo periodo dipende molto probabilmente anche da queste.

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