L’incendio alla discarica di Ischia Podetti a Trento ha riacceso il dibattito: bisogna costruire un impianto per il trattamento dei rifiuti anche in Trentino? Le discariche provinciali sono piene, e inviare il residuo urbano altrove costa sempre di più. Guardando a Bolzano, l’ipotesi sembrerebbe praticabile.
Mercoledì 10 agosto, un grosso incendio è divampato nella discarica di Ischia Podetti a Trento. A quanto pare, il fuoco ha coinvolto circa 560 tonnellate di rifiuti ingombranti. Dopo lo spegnimento, il lavoro dei Vigili del fuoco è continuato per settimane: quasi ogni notte, infatti, nella discarica si accendevano dei piccoli roghi.
“Al di là di quanto accaduto, il tema di un impianto […] sul nostro territorio a questo punto diventa centrale” ha dichiarato il Presidente della Provincia Maurizio Fugatti. Le discariche provinciali sono ormai sature, e diverrà necessario trovare una soluzione alternativa per i rifiuti locali non riciclabili. “Una parte dei rifiuti noi la stiamo mandando fuori Provincia [...] ma a causa anche di quanto è accaduto e sta accadendo a Roma” i prezzi di mercato stanno aumentando. In ogni caso, sostiene Fugatti, nel medio periodo esportare i rifiuti non sarà più sostenibile.
Secondo il consigliere di minoranza Alex Marini (5s), invece, il termovalorizzatore “trasformerebbe la questione della gestione dei rifiuti in un problema sanitario, con i nanoparticolati emessi che andrebbero a incidere sulla salute dei cittadini”. Paolo Bortolotti, Presidente della Commissione Ambiente dell’Ordine dei Medici di Trento, ha ribadito la necessità di valutare – anche attraverso un piano di monitoraggio - l’impatto sanitario delle emissioni di un eventuale impianto.
“Una decisione a lungo rimandata ma ormai indifferibile” ha invece dichiarato a Il Dolomiti l’ex rettore dell’Università di Trento Davide Bassi. Il quale ha però aggiunto: “un eventuale sovra-dimensionamento del progetto potrebbe scoraggiare qualsiasi futuro miglioramento della raccolta differenziata”.
La Provincia di Trento nel 2020 ha prodotto 269.000 tonnellate di rifiuti. Di queste, 65.000 erano da smaltire in discarica. Il Trentino, però, non dispone di spazio sufficiente nei propri siti di conferimento. Deve inoltre rispettare i limiti fissati dall’UE all’utilizzo delle discariche e, stando alla normativa nazionale, a partire dal 2035 potrà utilizzarle per smaltire solamente il 10% del rifiuto urbano.
La Provincia esporta quindi una buona parte del materiale non riciclabile. I prezzi di mercato per l’esportazione dei rifiuti, però, sono in crescita da anni.
Quest’anno gli oneri derivanti dalla gestione dei rifiuti trentini saranno pari a 17.295.000 euro. Con le entrate stimate intorno a 13.180.000 euro, si prevede un disavanzo netto di 4.115.000 euro. La Provincia ha così deciso di aumentare le tariffe per lo smaltimento in discarica di rifiuti urbani e speciali, adeguandole ai nuovi costi di gestione.
Nel Quinto aggiornamento al Piano di gestione dei rifiuti provinciale si ipotizza perciò la costruzione di un impianto per il recupero energetico dei rifiuti. In alternativa, si cita la possibilità di smaltire interamente il residuo urbano fuori Provincia – facendosi carico dei costi elevati e duraturi della scelta.
La Giunta si è impegnata a prendere una decisione entro la fine dell’anno, anche se le recenti parole del Presidente Fugatti sull’argomento – cui si aggiungono quelle del vice Presidente Tonina - sembrano già definitive.
I tecnici provinciali avrebbero individuato le aree idonee alla costruzione del nuovo impianto: la stessa Ischia Podetti, Lizzana o Trento Tre (tra i Comuni di Trento, Besenello e Calliano). Bisogna però decidere cosa costruire: un termovalorizzatore o un gassificatore? La questione è stata demandata a FBK e all’Università di Trento. Sarà loro il compito di studiare i diversi scenari possibili, e proporre un’analisi costi-benefici.
Il termovalorizzatore produce energia sfruttando il calore generato dalla combustione dei rifiuti e, a differenza degli inceneritori novecenteschi, ha un limitato impatto ambientale. Il gassificatore pure produce energia, ma convertendo il materiale organico in syngas. Il syngas può poi essere utilizzato per la conversione in prodotti chimici o combustibile.
Dunque, il gassificatore può non essere dotato di un camino, riducendo significativamente le emissioni. Il gassificatore, però, ad oggi ha dei costi di costruzione e manutenzione superiori a quelli del termovalorizzatore.
Nell’UE il trattamento dei rifiuti è sottoposto a limiti stringenti, fissati dalla direttiva europea sulla prevenzione e la riduzione dell’inquinamento e dai BREF, che definiscono le tecnologie più efficaci per il contenimento delle emissioni.
Negli ultimi vent’anni, ad esempio, il miglioramento dei metodi di incenerimento dei rifiuti ha portato gli impianti italiani a una riduzione in senso assoluto delle emissioni di diossine, diossido di zolfo, cadmio e IPA, pure in presenza di un sensibile aumento della quantità dei rifiuti trattati – che è triplicata.
Secondo il Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani - pubblicato nel 2020 e commissionato da Utilitalia ad alcuni ricercatori e professori universitari – non vi sono evidenze che il termovalorizzatore comporti un rischio “reale e sostanziale” per la salute.
In questo senso, può essere utile guardare al termovalorizzatore di Bolzano, dove tra l’altro è trattata una parte dei rifiuti che la Provincia di Trento non può smaltire – si parla di circa 12.000 tonnellate l’anno. L’impianto, in funzione dal 2013, ha una capacità di trattamento annuale pari a 130.000 tonnellate. Grazie al suo apporto, a Bolzano le tariffe per lo smaltimento dei rifiuti in discarica sono tra le più basse d’Italia.
Sul sito di Eco center – la società che gestisce i principali impianti di trattamento rifiuti dell’Alto Adige – è possibile consultare i dati mensili e annuali relativi alla quantità dei rifiuti inceneriti, e all’energia prodotta dall’impianto. Sono presenti anche i dati dei monitoraggi delle emissioni giornaliere e annuali del termovalorizzatore.
Secondo le conclusioni di uno studio Landmonitoring affidato all’Università degli Studi di Trento - che ha coinvolto anche il prestigioso National Center for Atmospheric Research – la concentrazione di inquinanti dovuta alle emissioni dell’impianto è così bassa da risultare non misurabile (ad esempio per particolato PM10), o non distinguibile dal valore di fondo (come per gli ossidi di azoto).
Le diossine prodotte sono 7.000 volte inferiori ai limiti fissati per legge, mentre in un centimetro cubo di aria al di fuori del camino dell’impianto si contano all’incirca 1.000 nanoparticelle, contro le oltre 100.000 dell’autostrada.
Il termovalorizzatore produce energia elettrica, la maggior parte della quale è ceduta alla rete nazionale. Produce anche energia termica, che fornisce alla rete di teleriscaldamento di Bolzano. Nel 2016 ne usufruivano 3.500 abitazioni e 100 esercizi commerciali. Con un ampliamento della rete, Eco center stima che l’impianto potrebbe riscaldare altri 10.000 edifici, compreso lo stesso Ospedale di Bolzano.
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