L’autonomia raccontata da Mauro Marcantoni nell'incontro di #linguaggi "Autonomia e Sviluppo" del progetto Cultura e Saperi, non appartiene soltanto all’ambito amministrativo, ma è innanzitutto un insieme di aspetti storici, culturali e legati allo sviluppo del territorio.
Il Trentino è dotato di una forma di autogoverno speciale: le competenze che la provincia può esercitare sono tali da far coincidere autonomia e dimensione quotidiana. "Un potere così grande richiede competenze profonde e un alto tasso di consapevolezza per essere esercitato", precisa immediatamente il relatore.
A fare la differenza nello sviluppo potenziale di una regione non è però la forma di ordinamento. Marcantoni illustra infatti una serie di dati storici sul PIL delle regioni: risultati più o meno virtuosi appaiono slegati dalla forma di autogoverno, ponendo spesso sullo stesso piano realtà con statuti diversi.
L’elemento che incide maggiormente è il capitale sociale, espresso nella cultura collettiva e da una classe dirigente forte e consapevole. Alle istituzioni spetta il compito di ascoltare e interpretare il sentire della popolazione, che deve però attivarsi a partire dagli individui che la compongono, per avviare pratiche comunitarie efficaci e tendenti al bene comune.
Negli ultimi dieci anni lo sviluppo dell’autonomia trentina è entrato in crisi. Segno che la perdita di consapevolezza e di acquisizione delle responsabilità collettive hanno inciso negativamente su un processo di autogoverno tra i meglio realizzati negli ultimi cinquant’anni.
Il cambiamento deve quindi provenire dal basso?
Sono i comportamenti collettivi che fanno la differenza nei processi di cambiamento sociale. Se cambia il sentire collettivo, cambiano anche le realtà, le situazioni. Se il sentire collettivo rifiuta il cambiamento tutto rimane dov'è. Non si può mai prescindere dal sentire della gente, da come certi modelli culturali ci portino a fare scelte di un tipo, piuttosto che di un altro.
L’amministrazione pubblica è in difficoltà nel coinvolgere e attivare i cittadini verso buone pratiche di comunità quotidiane. Che ruolo possono giocare in questo le realtà associative intermedie?
Oggi la realtà è difficile e quando una realtà è difficile, affrontarla da soli è evidentemente più complicato. Trovare delle forme di condivisione diventa un facilitatore. Le strutture intermedie tra amministrazione e popolazione non rappresentano la soluzione alle sfide della realtà, ma permettono di affrontarle insieme, creando più disponibilità di forze e quindi di successo.
I soggetti intermedi sono il luogo in cui l’individuo da singolo diventa un noi, un sistema di connessione, di scambio, di aiuto. Mettendo assieme le energie delle persone e concentrandole in queste forme di sentire e di agire. Così questi problemi che affrontati da soli risultano insuperabili, diventano meno duri, più affrontabili.
Senza sostegno e attenzione da parte delle istituzioni, può una realtà intermedia incentivare la partecipazione attiva ai processi comunitari, che richiedono di investire tempo ed energie per gli altri?
Se riconosciamo che il volontariato e l’associazionismo rappresentano un valore, è chiaro che ci vogliono degli strumenti collettivi pubblici e privati, ove possibile, che creino condizioni di maggior facilità ad agire, tanto per l’individuo quanto per le associazioni. Ci vuole un buon incontro tra quello che l’ente pubblico fa, che i privati illuminati fanno, e quello che da parte loro associazioni e individui possono fare nel volontariato.
La perdita progressiva di senso di appartenenza e responsabilità collettive è un fenomeno concreto che minaccia l’autonomismo. Come comunicare oggi l’autonomia per fronteggiare la crisi?
Il senso di appartenenza si crea a partire dalla consapevolezza di essere parte di un sistema e andrebbe comunicato in diversi modi, tra loro concorrenti. Si deve raccontare la storia di questa unicità, spiegando perché non siamo identici ad altre realtà e capendo se e perché tutto ciò sia ancora attuale.
Questo deve essere accompagnato da degli atteggiamenti coerenti. L’autonomia ci chiama a delle responsabilità, la prima delle quali la possediamo a livello individuale: è una dimensione collettiva, ma parte da come noi riusciamo a vivere all’interno della comunità. Se siamo singoli isolati è difficile sentirci parte di una comunità ed esprimere una volontà collettiva di autogoverno. Si deve sensibilizzare sia sulle conoscenze che sulle pratiche, insegnando, accompagnando e verificando che ci siano connessioni tra la dimensione individuale e quella collettiva, sia essa associativa, corporativa o istituzionale.
La distinzione tra provincia di Trento e provincia di Bolzano restituisce l’immagine di una realtà frammentata già a livello istituzionale. Come raccontare quindi di un Trentino-Alto Adige unito?
Le storie dell’una e dell’altra provincia sono molto diverse e ci vuole intelligenza e buona volontà per raccordarle. D’altronde, questa distinzione interna può essere osservata anche all’interno delle stesse province, dove esistono delle specificità che variano da valle a valle. È nel nostro DNA l’attenzione a queste specificità e la loro convivenza è il punto di partenza per creare forme di identità superiore, fino ad arrivare alla regione. L’obiettivo dovrebbe essere quello di partire dalle diversità e trovare il modo per consentire a queste di riconoscersi a livelli sempre più alti. Una comunità regionale, in una certa misura.
Le multi-identità si incrociano e il lavoro a cui la classe dirigente è chiamata non è semplice e richiede attenzione. Riconoscere le specificità e accompagnarle in un processo di avvicinamento è fondamentale per arrivare a trovare quella sintesi che porta la comunità ad essere una e non molte.
L’Europa e il Trentino-Alto Adige hanno un legame storicamente forte. Siamo a dieci anni dalla creazione dell’Euregio, come gestire questa risorsa e comunicarla all’esterno, evitando di sembrare avvantaggiati agli occhi dei nostri connazionali?
L’esercizio dell’Euregio è una prova di Europa in piccolo, perché mette insieme delle realtà diverse e diventa un laboratorio. Si può essere invidiati perché più bravi e più capaci, ma per evitare di essere invidiati in malo modo, quello che dobbiamo perseguire è l’idea che si possa fare un’esperienza multiculturale, multilinguistica e transfrontaliera che consegni all’Europa un esempio di come combinare le molte specificità del territorio.
Anche in questo caso esercitare bene le risorse a disposizione e comunicarle in modo trasparente e consapevole potrebbe risolvere il problema.
In sostanza, siamo sì avvantaggiati rispetto ad altre realtà, ma se non siamo in grado di sfruttare al meglio queste peculiarità, e non riusciamo a darne giustificazione all’esterno basandoci su dati consapevoli, incorreremo sempre nel rischio di apparire solamente più fortunati, tralasciando le responsabilità e i costi a cui siamo chiamati dalla nostra autonomia.
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