Nel possibile tutto è possibile, diceva Kierkegaard… O, forse, anche nell’impossibile…
N-ice-cello è senza ombra di dubbio tra i film più promettenti in concorso a questa edizione del Trento Film Festival.
Diretta da Corrado Bungaro, videomaker, musicista, nonché fondatore di NaturalMente ArtEventi SNC e direttore artistico dell’Ice Music Festival, la pellicola segue l’omonimo N-ice-cello Giovanni Sollima Tour del 2018, dal Muse fino al Teatro Politeama di Palermo. Un viaggio da Nord a Sud, in totale controtendenza rispetto all’iter consueto dei migranti di ieri e di oggi. Costellato da incognite e imprevisti, questi non hanno tuttavia impedito ad una troupe affiatatissima di portare a termine la sua missione: far risuonare in tutta Italia le note dell’ice-cello. Intagliato nel ghiacciaio Presena dall’artista messicano Tim Linhart, il violoncello di ghiaccio ha trovato un Pigmalione in Giovanni Sollima, violoncellista e compositore siciliano tra i più virtuosi della scena contemporanea.
Musica, passione, adrenalina, ma soprattutto acqua, in continua evoluzione: dal ghiaccio, granitico eppure così camaleontico, algido ma capace di evocare sonorità calde e intense, alle tacite e apparentemente innocue distese del Mediterraneo, luogo di transizione e, troppo spesso, di non ritorno. Per scoprirne di più, ne ho parlato con il regista.
È la sua prima volta al Trento Film Festival?
Sì.
Cosa significa per lei essere qui?
Perché il Trento Film Festival? Perché qui è partito il progetto. Ė una produzione “made in Trento” con il Muse e una serie di altri partner, tra cui Casa Musicale Sonzogno, Trentino Marketing, Consorzio Ponte di Legno Tonale, Apt Val di Sole, e che coinvolge anche vari professionisti trentini, tra cui Katia Bernardi, regista e documentarista, Mariano De Tassis, un light designer stimato a livello nazionale e internazionale, Giacomo Plotegher, che è stato il fonico di Presadiretta e ha curato il mix audio. Il ghiacciaio è in Trentino ed è bello che la prima parta da questa città e proprio da questo festival che ha come fulcro il tema della montagna.
Trento dunque come punto di partenza ma non di arrivo…
Esattamente.
Come ha conosciuto Tim Linhart e come è nata l’idea di N-ice-cello?
Ho conosciuto Tim Linhart nel 2009 quando mi hanno chiamato a fare il direttore musicale del Festival Ice Mucic, che allora era in Val Senales, a 3000 metri di quota, e lì ho chiamato Giovanni Sollima a suonare per la prima volta lo strumento di ghiaccio. L’esperienza è stata talmente forte a livello umano, artistico, esperienziale, che è nato un sodalizio, un legame forte, che si è sviluppato.
Avevo chiesto a Tim di portare le creature al di fuori del ghiacciaio, nei teatri. Per portarli giù dal loro ambiente naturale, per vibrare, suonare, questi strumenti devono essere tenuti ad una temperatura sottozero, a -5°, una condizione difficile da ottenere. Per farlo, bisogna escogitare dei modi. Lo abbiamo trasportato in una cassa che sembra una bara e abbiamo un po’ giocato anche su questo. L’abbiamo chiamato Lazzaro, come dice Giovanni nel film: “Lazzaro, alzati e suona!”. Intanto è un miracolo essere riusciti a trasportarlo integro per 1500 km per tutta l’Italia dalle Alpi al Mediterraneo in un furgone frigo. Tim però vedeva troppo difficile questo. Dieci anni dopo, a fine 2017, io e Tim abbiamo studiato come fare. Abbiamo immaginato di prendere una bolla gonfiabile di plastica, molto pratica e sgonfiabile, con un sistema di refrigerazione. Dovendo stare sempre -5°, quando lo abbiamo portato fuori dal ghiacciaio dentro l’ambiente, andava messo nella cassa termica, nel furgone frigo, che quando viaggia ha il freezer dietro. Nel momento in cui ti fermi con la macchina devi attaccarlo alla corrente per continuare ad avere la refrigerazione nella cella frigo. In ogni situazione, al Muse, a Venezia, a Roma, dove c’è stato un imprevisto, e poi a Palermo, deve avvenire il montaggio della bolla e la refrigerazione. Poi quando è refrigerata la bolla, si sposta dal furgone van nella bolla e deve sempre stare a -5°. Un’operazione che fatta tutte le volte ha una sua complessità.
Nonostante le difficoltà, il N-ice-cello-Giovanni Sollima tour si è aggiudicato il settimo posto nella top ten dei migliori concerti sinfonici del 2018. A cosa è dovuto questo successo?
Sicuramente all’originalità del progetto. Per fare suonare un pezzo di ghiaccio eseguendo un brano scritto originale per Ice cello orchestra sinfonica ci vuole uno come Giovanni Sollima. Innanzitutto per le condizioni in cui doveva suonare, a -7°/8°gradi, ma anche perché la cordatura non tiene, si muove continuamente e richiede una grandissima abilità di spostarsi rapidamente, una tecnica fuori dall’ordinario che Giovanni Sollima, uno dei più virtuosi al mondo, ha.
Ha mai provato a suonarlo?
Sì, ho suonato tanto il violino di ghiaccio e altri strumenti, a percussione… Li ho provati un po’ tutti, li ho suonati tante volte… Questo mi è servito molto per arrivare al progetto film.
Il tour è approdato infine al Teatro Politeama di Palermo, dove si è esibita l’Orchestra Sinfonica Siciliana. Quale è stata la reazione del pubblico palermitano ad un concerto suonato con uno strumento di ghiaccio, un elemento non proprio familiare al suo immaginario?
Il teatro era sold out per due serate, per un totale di 1500 posti… Da una parte con curiosità, dall’altra anche con diffidenza. Entrambe hanno spinto ad andare a vederlo. Quando siamo arrivati in Sicilia c’era siccità da sei mesi ed è arrivata la pioggia. Ci abbiamo scherzato un po’ su…
Un effetto speciale, quasi…
Il finale del film è infatti un effetto speciale pazzesco.
Patrizio Roversi faceva le interviste al pubblico chiedendo le loro impressioni, di grande stupore, meraviglia, alcuni erano contrari…Ma la cosa bella è che molti palermitani quella sera non volevano che l’ice-cello andasse a sciogliersi in mare, lo sentivano loro. Dove siamo andati le persone l’hanno sentito come un sogno collettivo. Lo volevano lì, per sempre.
Dopo averlo sciolto ne avete costruito un altro?
No, in realtà ce n’erano due, uno dei quali di riserva, ma non è mai stato usato.
Un buon segno allora!
Siamo stati attentissimi a tutti i particolari…
La sostenibilità ambientale è sicuramente tra gli obiettivi dell’Ice Music Festival-Concerti, di cui lei è direttore artistico. Le sembra che il mondo della musica stia maturando una maggiore consapevolezza riguardo alle tematiche ambientali?
Il mondo della musica è dentro questo tempo in cui è cresciuta la sensibilità ambientale. Su, nell’igloo, un teatro che ospita 300 persone, è tutto naturale, acusticamente non c’è un impatto, perché è costruito in una buca, totalmente mimetizzato nel paesaggio, quindi non emerge una grande costruzione di ghiaccio che potrebbe avere un effetto impattante, anche un po’ kitsch. Tecnicamente non si vede perché è sotto, c’è solamente la cupola, ma molto essenziale, invece le gradinate vanno giù come un piccolo anfiteatro interno, perché è scavato sotto.
Via dei matti, un programma interamente dedicato alla musica, costituisce un’eccezione rispetto al tenore generale dei palinsesti televisivi… Quali altri spazi sono rimasti al giorno d’oggi per introdurre il grande pubblico alla musica, attraverso la divulgazione e l’intrattenimento? Il cinema è uno di questi?
Il cinema assolutamente sì. Via dei matti è un grande esempio da seguire per la grande leggerezza con cui affronta la tematica musicale. In televisione ce ne sarebbe un bisogno estremo. Più che degli spazi, ci sarebbero delle praterie da riempire, con tante altre idee, come faceva Mr. Fantasy tanti anni fa, che presentava la musica in maniera non didascalica ma frizzante. Da qualche anno prima del Covid si stava sviluppando l’evento del concerto al cinema, si poteva andare a vedere i Led Zeppelin o Giovanni Sollima che suona il violoncello di ghiaccio, Bobby Surround… Speriamo che tutte le forme di espressione abbiano più spazio.
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