Dopo la tragedia che ha causato 79 morti a Cutro il 26 febbraio, domenica scorsa un altro barcone si è rovesciato vicino alle coste libiche. Mentre il mare prende e restituisce i corpi delle vittime dei naufragi, la politica discute in un acceso dibattito sul tema della legislazione delle migrazioni.
Ha fatto di recente discutere il cosiddetto decreto Ong, convertito in legge il 23 febbraio, che introduce nuove regole per il salvataggio dei migranti in mare da parte delle navi delle organizzazioni umanitarie. Per il governo ci sarebbe un duplice intento positivo: da una parte assicurare l’incolumità delle persone recuperate in mare, dall’altra tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica fermando, o comunque riducendo, le partenze e interrompendo così il business dei trafficanti. Non sono della stessa opinione le organizzazioni umanitarie in primis, il Consiglio europeo e l’ONU.
È infatti evidente che l’obiettivo, o comunque l’inevitabile conseguenza, sia quello di limitare l’azione delle organizzazioni umanitarie che soccorrono i migranti in mare, introducendo una serie di misure, cavilli e pratiche burocratiche che complicano i loro interventi.
Modificando alcuni commi del cosiddetto decreto Lamorgese, il nuovo provvedimento prevede l’obbligo per le navi di possedere tutte le autorizzazioni rilasciate dalle autorità competenti dello Stato di bandiera e i requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione nelle acque territoriali. Le stesse devono inoltre aver raccolto tempestivamente, previa informativa, le intenzioni dei migranti nel richiedere la protezione internazionale.
Si prevede poi che nell’immediatezza dell’azione di soccorso le navi richiedano alle autorità competenti l’assegnazione del porto di sbarco e che lo raggiungano senza ritardi né fermate intermedie. Nel caso di operazioni di soccorso plurime, inoltre, le operazioni successive alla prima devono essere effettuate in conformità agli obblighi di notifica e non devono compromettere l’obbligo di raggiungimento, senza ritardo, del porto di sbarco.
Spesso però in questi mesi le autorità hanno assegnato porti lontani dalla zona di salvataggio, rendendo più lunghi e faticosi il viaggio di approdo e il rientro nell’area di soccorso e impedendo di effettuare, se fosse necessario, più di un soccorso alla volta.
Sono stati assegnati porti di sbarco come Ancona, Ravenna e La Spezia, mentre generalmente i punti di approdo erano soprattutto in Sicilia, Puglia e Calabria. L’obiettivo, per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, è quello di decongestionare il più possibile i porti della Sicilia, evitando di spostare i migranti dal Sud al Nord del Paese attraverso mezzi di trasporto a spese dello Stato. Come riporta un articolo di Pagella Politica, però, il governo avrebbe smentito se stesso quando il 1° febbraio alcuni dei migranti che erano sbarcati il 29 gennaio a La Spezia sono stati trasportati in pullman a Foggia, in Puglia.
Il giorno stesso in cui il decreto è convertito in legge viene preso il primo provvedimento nei confronti di una nave di Medici Senza Frontiere, le Geo Barents. Dopo lo sbarco ad Ancona del 17 febbraio, che aveva portato in salvo 48 migranti, le autorità italiane hanno deliberato il fermo amministrativo della nave di ricerca e soccorso e una multa di 10mila euro.
“La Capitaneria di Porto di Ancona” spiega lo staff di Msf “ci contesta, alla luce del nuovo decreto, di non aver fornito tutte le informazioni richieste durante l'ultima rotazione che si è conclusa con lo sbarco ad Ancona”.
In un’intervista a Cartabianca un responsabile di Msf ammette: “Siamo preoccupati perché questa legge crea un concetto nell’opinione pubblica per cui le Ong che soccorrono i migranti in mare sono un pericolo. Poi c’è la paura per ogni azione che si fa, di vedere la propria nave sequestrata. In termini di costi significa utilizzare molto più carburante per poter raggiungere i porti stabiliti, spesso appunto molto lontani, e ci porta a dover ignorare eventuali altre richieste di soccorso nell’area interessata”.
Secondo Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia “Questo decreto Ong produrrà ulteriori morti in mare, perché si decide deliberatamente di non salvarli”.
L’obiettivo, secondo Amnesty, sarebbe quello di ostacolare e ridurre l’attività delle ong con la tattica dei porti lontani e con i procedimenti giudiziari.
Rispondendo ad un Question Time alla Camera sul recente naufragio del barcone vicino alle coste libiche, Giorgia Meloni afferma “Finché ci saranno partenze su barche in pessime condizioni e con pessime condizioni meteo ci saranno perdite di vite. Quello che dobbiamo fare è impedire ai trafficanti di portare queste persone a bordo di queste barche e investire sulle rotte legali, ed è esattamente il lavoro che sta facendo il governo. Dunque la nostra coscienza è a posto”.
Alla luce di queste dichiarazioni viene spontaneo chiedersi come sia possibile investire sulle rotte legali limitando, attraverso cavilli burocratici, proprio l’azione dei pochi che già operano legalmente.
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