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Immagine del redattoreMarzio Fait

J'Aukus: la Francia tradita dall'accordo tra Australia, Regno Unito e USA

Aggiornamento: 6 ott 2021

Desta molto clamore la decisione di questi giorni della Francia di richiamare i propri ambasciatori da Australia e Stati Uniti. Decisione arrivata in seguito all'istituzione dell'AUKUS – un accordo di cooperazione militare tra Regno Unito, USA e Australia – e all’annullamento da parte di Canberra di un contratto per cinquantasei miliardi di euro in forniture belliche.

Risalente al 2016, l'accordo franco-australiano assicurava all'Australia una dotazione di dodici sottomarini Attack, permettendole così di contrastare la crescente assertività della Cina nel teatro dell’Indo-Pacifico – una tratta strategica per il commercio e la difesa. La Francia, dal canto suo, oltre ad un corposo introito, avrebbe visto la creazione di 4.000 posti di lavoro. Inoltre, grazie a questa manovra il Paese europeo si sarebbe assicurato una presenza ancora maggiore nell’area dell’Indo-Pacifico: qui, vista la presenza di territori francesi, la Francia gode già della seconda zona economica esclusiva più estesa al mondo (ovvero un’area del mare adiacente alle acque territoriali dove uno Stato detiene il diritto di gestire le risorse naturali lì presenti).


I dubbi dell’Australia sull’operato della Naval Group, responsabile della costruzione degli Attack, hanno però spinto il Paese a non tener fede al contratto e cercare un’alternativa. Questa si è realizzata nell’AUKUS, un accordo trilaterale tra Canberra, Londra e Washington, la cui prima iniziativa sarà appunto quella di dotare l’Australia di sottomarini a propulsione nucleare. Questi sottomarini di origine statunitense utilizzeranno motori alimentati da un reattore nucleare, un tipo di arma posseduto soltanto da sei Paesi al mondo. I nuovi armamenti avranno quindi raggio d'azione illimitato, potranno operare in assoluto silenzio e saranno difficili da intercettare.

L'annuncio improvviso di cooperazione tra i tre Paesi è l'altra ragione che ha portato la Francia a richiamare i propri ambasciatori: sembrerebbe che i funzionari transalpini siano stati messi al corrente dell'accordo solo a giochi compiuti. Uno schiaffo per un Paese coinvolto in un contratto così lucroso e che detiene interessi così importanti nell’area. Infatti la Francia è anche l'unico Paese dell'Unione Europea ad avere una presenza militare permanente nell’area dell'Indo-Pacifico.


L'accordo però rappresenta uno smacco anche per l'Unione Europea che, dopo molto lavoro e senza essere a conoscenza del piano, ha varato giovedì 16 settembre un documento sull’Indo-Pacifico in cui pone le basi per la strategia europea nella regione. Un lavoro rivelatosi superfluo, che rappresenta un segnale di come l'Unione Europea ricopra un ruolo secondario sullo scacchiere geopolitico.


Ma torniamo all'accordo. L'AUKUS è una delle iniziative intraprese dagli Stati Uniti nell'ambito della politica del Pacific-Pivot, una strategia volta a contenere l’espansione della Cina nel teatro Pacifico e che negli anni ha portato Washington a spostare il proprio focus di politica estera dal Medio all'Estremo Oriente. Un contenimento che guarda soprattutto all’espansionismo di Pechino nel Mar Cinese Meridionale (negli ultimi anni la Cina si è dotata di una flotta militare composta da trecentosessanta navi da guerra e non ha mai nascosto le proprie mire nei confronti di Taiwan) e alla crescente aggressività in campo commerciale, che dovrebbe realizzarsi nella costruzione della One Belt One Road, un imponente progetto pensato per collegare in maniera più efficiente la Cina al resto del mondo.


Ma l'AUKUS non è solo questo: l'accordo prevede una stretta collaborazione in settori strategici come la cybersicurezza e l’intelligenza artificiale, e si occuperà della condivisione di tecnologie per la difesa navale. Servirà anche ad allentare i timori dell’Australia, che negli ultimi mesi ha avuto rapporti commerciali e politici sempre più tesi con la Cina, ma anche a una Gran Bretagna che dopo la Brexit cerca di ridefinire il proprio ruolo strategico e i propri interessi a livello internazionale.


L'AUKUS comunque non è l'unico strumento utilizzato dagli Stati Uniti per contrastare l'assertività della Cina nell'Indo-Pacifico. La scorsa settimana, Biden ha ospitato a Washington i leader di Giappone, India e Australia nella prima riunione del QUAD (Quadrilateral Security Dialogue), un patto di sicurezza nato nel 2007 e che è considerato da alcuni osservatori alla stregua di una NATO asiatica.

L’ambasciata cinese negli Stati Uniti ha criticato le mosse degli USA, definendo l'AUKUS come il risultato di una mentalità da guerra fredda. Il portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijain ha affermato che la Cina monitorerà la situazione e ha invitato i tre Paesi ad abbandonare concetti obsoleti e a rispettare le aspirazioni dei popoli della regione. Un concetto ribadito dalla Corea del Nord, che ritiene che il nuovo patto potrebbe innescare una corsa agli armamenti nucleari.


A questo proposito gli Stati membri dell'AUKUS hanno fatto sapere che l’Australia non svilupperà armi nucleari, e che i nuovi sottomarini non saranno equipaggiati con armi nucleari. L’accordo rappresenta comunque un salto di qualità per le ambizioni militari e di difesa di Canberra. Un miglioramento che come ha riportato Agenzia Nova, non è passato inosservato a Pechino: l'Esercito popolare di liberazione starebbe valutando l'acquisto di trentasei elicotteri d'attacco russi Kamov Ka-52 da destinare alle proprie unità navali d'assalto anfibio.


Per concludere, l'intera questione fornisce degli spunti interessanti che danno un'idea di quelli che sono attualmente gli equilibri di forza sullo scacchiere internazionale: una Cina sempre più assertiva che cerca il supporto della Russia per contrastare i tentativi degli Stati Uniti di fermare il suo presunto espansionismo. Stati Uniti che, nonostante gli annunci, persistono nella loro politica estera aggressiva e non si fanno scrupoli nel superare i propri storici alleati. Una Gran Bretagna alla ricerca di un posto da comprimario dopo la Brexit e un'Unione Europea, infine, sempre più ai margini della partita.

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