Cina, USA, Russia e Unione Europea hanno influito sulla gestione della pandemia nel MENA (Middle East and North Africa). L’incapacità dei Paesi dell’area di fare fronte comune davanti a questa sfida ha assunto così una dimensione geopolitica.
Così, mentre Israele e gli Emirati Arabi Uniti che potevano vantare alleati attrezzati hanno registrato percentuali di vaccinazioni vicine al 90%, altri come i territori palestinesi e l’Iraq a novembre 2021 non avevano ancora vaccinato il 25% della popolazione.
La fiducia delle autorità nel sistema sanitario del MENA si era spesso dimostrata in contrasto con la realtà già in pre-pandemia. In molti di questi Paesi la spesa pubblica viene utilizzata con finalità propagandistiche, con il mancato rafforzamento dei beni pubblici, come il sistema sanitario.
La scarsa capacità nella raccolta e analisi dei dati sul contagio non ha reso possibile il contrasto efficace della pandemia, restituendo l’immagine di un’organizzazione regionale debole e frammentata.
In alcune zone si è provato ad attivare delle politiche comuni, come nel caso del Gulf Cooperation Council, ma la maggior parte delle iniziative è stata condotta individualmente.
Nonostante tutti i limiti del sistema, va ricordato che nella zona si è saputo assorbire l’urto meglio che in altre aree del mondo. I tassi di mortalità ed ospedalizzazione sono infatti rimasti contenuti in virtù della giovane età della popolazione.
L’area era già in crisi in termini di sicurezza e frammentazione, ma la sfida del Covid-19 può rappresentare per il MENA un’opportunità.
Il 60% della popolazione ha un’età inferiore ai venticinque anni e non è da escludere che i giovani arabi possano ricoprire un ruolo centrale nelle sfide politiche ed economiche future.
Le minacce sanitarie e la crisi ambientale che stiamo affrontando non conoscono infatti confini politici e potrebbero essere l’occasione per il MENA per cominciare a fare fronte comune.
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