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Immagine del redattoreGiovanni Beber

I Paesi del Golfo e il nuovo assetto geopolitico - Intervista a Pejman Abdolmohammadi

La crisi russo-ucraina sta avendo ricadute importanti sugli assetti politici interni ad alcuni Paesi, in particolare Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Iran. Pejman Abdolmohammadi, professore associato di Storia del Medio Oriente all’Università di Trento, è intervenuto sull’argomento nel corso di un’intervista rilasciata a Into it.

Che impatto può avere il conflitto russo-ucraino sul Medio Oriente?

Stiamo vivendo in un momento molto particolare per il Medio Oriente, sia per la sua parte mediterranea, sia per la parte sul Golfo Persico.


Nella sua parte mediterranea la crisi russo-ucraina può avere importanza a livello economico e sociale, a partire dalla Siria fino alla Tunisia. In questo autunno potrebbero infatti verificarsi nuovi disagi sociali, dei tumulti nati da questioni socio-economiche.


Nel Golfo Persico, suddiviso tra mondo iranico e mondo arabo la situazione che si prospetta è diversa.


Da un punto di vista socio-economico la parte iraniana è già in sofferenza per le sanzioni e per il problema legato al Nuclear Deal, momentaneamente sospeso. Questo tipo di crisi potrebbe aumentare la morsa economica a Teheran, che era però già presente prima del conflitto e non causerebbe un effetto shock.


Il discorso si fa diverso per quanto riguarda i Paesi Arabi del Golfo Persico. Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti sono infatti tra i principali attori nelle dinamiche legate alla crisi russo-ucraina.


Che ruolo stanno giocando questi Paesi?

Il Qatar è in linea con la politica estera di Washington, soprattutto in seguito all’insediamento dell’amministrazione Biden. Il suo ruolo è tornato centrale nel tavolo geopolitico dell’area, anche e soprattutto a causa dei campionati mondiali di calcio che vi si svolgeranno il prossimo inverno.


Gli Emirati cercano di mantenersi equidistanti dalle due compagini internazionali: si mantengono tendenzialmente in linea con la politica estera americana, ma si mostrano favorevoli anche alla coalizione russo-cinese.


Da tenere sotto osservazione è soprattutto l’Arabia Saudita. La decisione di non accettare la richiesta di Washington di aumentare la produzione del greggio, per scongiurare un aumento eccessivo dei prezzi del petrolio, è ambiziosa.


L’Arabia Saudita è consapevole che questa scelta potrebbe avere delle ripercussioni, ma le potenzialità oltre ai rischi sono alte. Se la mossa si rivelasse azzeccata, potrebbe trovarsi a giocare un ruolo di primo piano nel nuovo assetto geopolitico che si sta formando.


Che cosa ci si può aspettare da questo nuovo assetto?

Stiamo attraversando una transizione geopolitica e stiamo affrontando una transizione di potere che si andrà delineando nei prossimi anni. Non è facile prevedere con certezza che cosa avverrà, i fattori in gioco sono molti, a partire dall’esito delle prossime elezioni americane.


Ci sono attori regionali che stanno aspettando il momento opportuno per ribilanciarsi e il conflitto in Ucraina è il primo di una probabile serie di crisi, che costituiranno il nuovo equilibrio mondiale.


Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Iran affronteranno problemi socio-economici e forse anche di regime-change nei prossimi due anni. E questo perché il Golfo Persico è una delle tre zone chiave del conflitto: Golfo, Pacifico e Mediterraneo. Queste tre grandi acque sono cruciali nella “nuova guerra fredda” tra USA e Cina.


Quali sono i rischi maggiori per l’Arabia Saudita?

A causa del conflitto su suolo europeo, la coalizione occidentale avrebbe bisogno di un medio oriente stabile, orientato a Occidente. Ma a causa della recente presa di posizione, Arabia Saudita e Iran, storicamente opposti, si potrebbero trovare a fare parte dell’alleanza orientale.


Se ciò dovesse accadere Regno Unito e USA cominceranno a temere di perdere la loro influenza sul Golfo Persico e non è da escludere che proveranno a destabilizzare gli assetti politici nell’area. Per questa ragione possiamo aspettarci dei cambiamenti nel Golfo, già al termine dei campionati mondiali di calcio.

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